La pronuncia delle Corte di Giustizia dell’Unione Europea, grazie ad uno studio incrociato delle Direttive di riferimento europee (2006/21/CE, 1999/31/CE, 2008/98/CE) e di quella nazionale italiana (d.lgs 117/2008, d.lgs 36/2003), chiarisce il rapporto che sussiste tra l’attività di smaltimento e quella di recupero che possono entrambe avvenire con il riempimento dei vuoti di una cava. I giudici della Corte hanno ben individuato il confine che ripartisce il campo d’applicazione delle due discipline che hanno ad oggetto l’attività di smaltimento e di recupero, considerando rilevanti ai fini dell’applicazione dell’una o dell’altra normativa talune informazioni legate oltre che alla sussistenza di obblighi conseguenti all’attività esercitata, anche alla qualità tecnica dei materiali destinati al riempimento della stessa. Secondo la ormai consolidata filosofia adottata dall’Unione Europea il recupero di materiali catalogati come rifiuti deve essere preferito all’attività di smaltimento quando questi, per le caratteristiche qualitative che detengono, siano in grado di poter sostituire l’utilizzo di altri materiali che dovrebbero essere appositamente acquistati. Nel caso di riempimento di una cava con materiali diversi da quelli provenienti dall’attività estrattiva e di lavorazione, deve essere escussa una valutazione in ordine alla sussistenza in capo al gestore dell’obbligo di doversi occupare del suo riempimento come conseguenza della sua coltivazione ed estrazione di materiali. Qualora sussista tale onere per cui l’attività in questione si renda condizione di procedibilità al rilascio dell’autorizzazione regionale per lo sfruttamento delle cave, l’ulteriore indagine deve essere promossa nei confronti dei materiali che si intende depositare all’interno. Una perizia eseguita oltre che sotto un profilo tecnico, anche sotto un profilo ambientale e sanitario, che certifichi l’adeguatezza del materiale che si vuole impiegare può senza dubbio confermare l’applicabilità della normativa in materia di recupero dei rifiuti.